sabato 15 marzo 2008

Spiro Zavos - L'ARTE DEL RUGBY

Il rugby, una costola del calcio, uno sport praticato da pochi ma che non ha nulla da invidiare al suo fratello maggiore.
Confrontando notorietà è ricchezza che i due sport possono portare,è il calcio ad avere la meglio,ma solo perché è venuto prima al mondo.
Il calcio quindi ha vinto, ed è diventato molto ricco. Ma dove c’è la ricchezza spesso si annida lo schifo.
E’ triste vedere uno sport come questo che solo in Italia non riesca ad attecchire. Dico solo in Italia perché uscendo dai nostri confini la sua popolarità ha un’impennata vertiginosa!!
Per me non è uno sport di squadra, è LO sport di squadra!
15 giocatori,15 fisici differenti, 15 elementi con caratteristiche fisiche e tecniche diverse ma tutte rivolte allo scopo di far vincere la SQUADRA.
Il singolo molto difficilmente può risolvere la partita e deve comunque essere costantemente supportato da tutta la squadra. Tutta deve avanzare in attacco, tutta deve tornare in difesa.
La palla, tramite passaggi rigorosamente all’indietro (questo è il bello del rugby!),deve essere posata personalmente otre la linea bianca di meta; una linea difesa ferocemente da 15 frigoriferi dalle sembianze umane.
E’ un combattimento di trincea, si attacca costantemente e direttamente la linea difensiva.
Richiedendo quindi un elevato livello di organizzazione ,le partite di rugby vengono spesso paragonata a partite di scacchi giocate con pezzi enormi che possono fracassarsi tra loro!
Mi fermo perché voglio dare ampio spazio alle parole del libro inserendo 2 parti. La prima è l’inizio del libro. Tramite le parole di Spiro Zavos (giornalista neozelandese) cerchiamo di capire le regole base di questo complicato sport.
La seconda parte, è un colloquio con Pierre Berbizier (francese) ex allenatore della nazionale azzurra ,che chiude il libro.Non rompete troppo le palle se c’è tanto da leggere! Ho cercato di mettere il meno possibile per non sovraccaricare le vostre cellule neuronali, ma più di tanto non ci sono riuscito. Se siete minimamente interessati all’argomento, fate questo sforzo e vedrete che ne varrà la pena!
ECCO A VOI LE DUE PARTI:
Il rugby non ha regole (rules), ma leggi (laws). E il dettaglio linguistico è rivelatore dell'idea condivisa del gioco, del rapporto tra il singolo (giocatore e spettatore) e l'evento collettivo di cui è partecipe.Durante la partita, la «punizione» per il giocatore che ignora le «leggi» del rugby e la «punizione» che ne deriva è in ragione della sua buona o cattiva fede, della sua semplice negligenza o del dolo, della sua «recidività» nell'errore. Nulla è meno tollerato nel gioco di una «legge» persistentemente violata per impedire all' avversario di godere appieno della suo diritto, della sua libertà, di «muovere» correttamente la palla.Le «leggi» sono molte e dettagliate, almeno se si sta alle 200 pagine e alle I4 sottosezioni del «codice» della Federazione internazionale (Irb, International Rugby Board). Ma come in ogni sistema democratico, non si è. tenuti a conoscerle tutte. Per chi guarda e chi gioca (non per chi arbitra) è sufficiente avere assimilato i principi della Costituzione del gioco. In fondo, pochi.- Si gioca sempre dietro la palla. Chi le è davanti è in fuorigioco e se ne deve disinteressare fino a quando chi ne è in possesso non lo avrà sopravanzato.- Non si placca, o comunque non si aggredisce, né siostruisce il movimento e la corsa dell'uomo senzapalla.- Si placca l'uomo con la palla dalle spalle in giu. Mai al collo. Il giocatore si considera placcato una volta a terra e a quel punto dovrà immediatamente liberarsi della palla, passandola o rilasciandola sul terre- no in modo tale che possa essere raccolta o contesa dai giocatori delle due squadre ancora in piedi. L'ostruzione volontaria della palla con il peso del proprio corpo è considerato fallo di punizione.- Si passa la palla solo all'indietro. Non è mai ammesso il passaggio in avanti, volontario o involontario che sia.- Si calcia la palla solo in avanti. Per guadagnare terreno. Per cercare di segnare tra i due pali della por- ta. Per lanciare un giocatore verso la meta.- All'interno delle mischie spontanee (ruck e maul) e ordinate (scrum) la palla che è sul terreno può esse- re recuperata solo utilizzando i piedi. Può essere rac- . colta con le mani solo quando la mischia spontanea è conclusa.- Nelle mischie ordinate (scrum) e nelle rimesse laterali (lineout o touche), la palla va sempre introdotta (o lanciata) nel mezzo.2. La squadra: «avanti J «mediani» e «tre quarti» .Nel rugby, i giocatori passano e le maglie restano. Come i numeri. Che dunque non si scelgono, né si personalizzano, né vengono «ritirati» in una bacheca del club in omaggio a un grande campione che appende gli scarpini al chiodo. (A Twickenham, il tempio del rugby inglese, nel tunnel di ingresso al campo, una scritta murale ricorda ai giocatori di non dimenticare chi, prima di loro, ha vestito quelle stesse maglie). I numeri sono in rigida scala numerica. Dall'I al 15. Perché, appunto, il numero che hai sulle spalle non dice chi sei, ma cosa ci stai a fare in campo.

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Racconta Berbizier che il giorno in cui gli consegnarono le chiavi del rugby italiano per provare a dargli un'identità trovò il modo di dire tutto questo allo spogliatoio della Nazionale sollecitando una scommessa. «Conoscevo si e no due parole della vostra lingua. E cosi mi feci aiutare a mettere insieme un pensiero e dissi: "Buongiorno a tutti. Mi chiamo Pierre Berbizier e vi prometto che proverò a imparare l'italiano, perché mi dicono che per un francese è semplice. Dunque, vi propongo una sfida: se io riuscirò a parlare la vostra lingua, voi riuscirete a giocare a rugby ad alto livello. Perché anche questo è semplice" ».Ora ride di gusto Berbizier. Si compiace del paradosso, perché ne conosce la natura. «È vero. Essere semplici è difficilissimo. Non solo nel rugby. Significa conoscenza profonda delle basi del gioco, capacità di esecuzione dei fondamentali sotto la pressione dell' avversario. Ma se vuoi vincere, devi essere in grado di fare per ottanta minuti, con continuità, tre cose semplici: conquista della palla e del terreno, mantenimento del possesso, difesa. Se vuoi vincere, devi ricordarti di che cosa è fatto questo sport: corsa, placcaggi, passaggi, gioco al piede. Che sono cose semplici e allo stesso tempo difficilissime da fare se ripetute con continuità. Devi ricordati che gli avanti esistono per conquistare la palla, i tre quarti per usarla. Che l'ovale è un tesoro e non va sprecato. Mai».Il resto verrà da solo. «La folie, l'estro, l'improvvisazione, si costruisce sulla semplicità. Soprattutto, la folie non significa frenesia. Significa iniziativa e non rischio. L'iniziativa è una scelta individuale, condivisa e sostenuta da un collettivo. Il rischio è un' azione individuale che il collettivo non comprende e non sostiene. L'iniziativa fa crescere una squadra e la rende imprevedibile. Il rischio la rende vulnerabile e la divide, lasciando il singolo che lo ha assunto. inutilmente sopraffatto».Lavorare su gente come noi, gli italiani, su un'indole profondamente individualista e un comportamento che confonde azzardo con estro, fantasia con anarchia, non deve essere stato semplice. Berbizier si stringe nelle spalle. «Non so se l'identità di questo gruppo che si è creato nella Nazionale può definire o ha aiutato a definire il rugby italiano per ciò che è oggi e per ciò che promette di essere domani. So che nel modo,!.di giocare una partita di rugby, c'è molto, se non tutto, di un Paese, della sua gente. Prendiamo gli inglesi, come anche gli australiani. Affrontano una partita con l'approccio analitico di un esercizio di logica. Anche le variabili fanno parte di una preordinazione. Fuori dagli schemi, da un "programma", non c'è gioco concepibile. Il contrario di noi francesi, che non rinunciamo mai a un approccio globale. L'Italia non fa differenza. Al giocatore italiano piace la lotta. È generoso fino allo sfinimento. Ma per funzionare ha bisogno di un sitema di gioco. Di quella semplicità che vado predicando e che qui diventa disciplina e autodisciplina. Lo dico e non mi stanco di ripeterlo anche e soprattutto a giocatori di alto livello. Nel rugby ci sono tutti i valori della vita e su questi ciascuno di noi deve misurarsi».Per questo, nel rugby, si comincia dalla testa, prima che dai muscoli. «È il solo sport collettivo in cui continua a essere espressa una differenza fisica tra i giocatori. Che deve essere presente a ciascuno. Una differenza nell'uguaglianza. Che ne fa uno sport democratico e per persone intelligenti. C'è il piccolo e c'è l'alto, c'è il magro e il grasso. Se si guarda ad altri sport di squadra il calcio, la pallavolo, il basket gli atleti sembrano tutti uguali. Quasi noncogli differenze. Nel rugby no. Siamo tutti uguali perché indossiamo la stessa maglia. Ma siamo profondamente diversi per quel che a ciascuno di noi è chiesto di fare in campo in ragione del nostro fisico, delle nostre capacità. Della nostra testa».Alla testa di un giocatore, Berbizier chiede «passione, intelligenza, lucidità». «Sembrano concetti generici, banalmente condivisibili. Ma forse non sono poi cosi ovvi. Ogni azione, nel rugby, è sempre la diretta conseguenza dell'osservazione. Non esistono gesti riflessi. Sequenze preordinate. Si gioca con la testa alta. Chi ha la palla e chi non ce l'ha. È fondamentale comprendere cosa farà l'avversario, anticiparne le mosse. Poi, si potrà anche abbassare la testa e darci dentro. Perché nel rugby, spesso, la testa va abbassata. Eccome se va abbassata. Ma dopo, non prima».Osservazione e contatto. Nell'afferrarsi di corpi, nel cozzo sordo delle prime linee in mischia, nella sopraffazione fisica della resistenza dell'avversario, nella lotta per strappare e riconquistare la palla, il rugby esalta la sua fisicità. Esorcizza e scongiura la violenza (nel suo libro di memorie Winning, Clive Woodward, allenatore della nazionale inglese campione del mondo nel 2003, riferisce che secondo le stime del suo staff medico al termine degli ottanta minuti di una partita, un giocatore, quale che sia il suo ruolo, è in una condizione fisica paragonabile al sopravvissuto a un'incidente stradale a una velocità di cento chilometri orari). «Chi non conosce questo sport può essere indotto a confondere la combattività con l'aggressività e dunque a concludere che il rugby è violento. E non è una confusione propria dei soli neofiti. È una differenza che spesso va resa chiara anche a chi il rugby lo gioca da un po'. Il confine tra la combattività e l'aggressività è l'intelligenza. Un giocatore intelligente è combattivo, determinato, ma mai aggressivo. Chi è aggressivo non è lucido. E chi non è lucido diventa violento. Non rispetta le leggi del combattimento. Compie gesti inutili, pronuncia parole altrettanto inutili. Non rispetta l'avversario e dunque non rispetta se stesso. Non rispettando se stesso, danneggia i suoi compagni. Se sei un giocatore combattivo, se in campo hai dato tutto quel che avevi, sai che saper perdere è un altro modo di vincere una partita, perché vuoI dire riconoscere che chi hai avuto di fronte è stato migliore di te. È riuscito in ciò in cui tu hai fallito. Se sei un aggressivo, un violento, faticherai a vincere e non saprai mai perdere. Non sarai mai un giocatore di rugby»….